Non tutti i maiali vengono per nuocere

Non tutti i maiali vengono per nuocere

 

 

Buongiorno miei cari lettori, dalle nostre parti un giorno si e l’altro pure si usa  l’affermazione “s’ha fatt nott e lu porc n’arvè  (E’ giunta la notte e il maiale non ritorna).

Io non c’entro niente perché lo sapete non esco mai, ma come al solito quando si deve parlare male di qualcuno si usa sempre il termine PORCO e alla fine ho accettato anche queste devianze sociali.  Comunque visto che ci siamo, ho voglia di spiegavi l’etimologia di questa affermazione abruzzese e invitarvi a pronunciarla bene.

Il porco sta per il marito, che la sera, dopo una giornata nei campi in compagnia della moglie, lascia casa e si avvia a fare quattro chiacchere con gli amici del paese, che sono anche cugini e un po’ cognati e forse chissà anche fratellastri. Vi sembrerà strano, ma nei tempi in cui non c’erano le macchine, avreste camminato chilometri alla ricerca di un toy-boy? Cioè, io no, mi sarei organizzata in zona!

Ad ogni modo le cantine del paese sono in realtà dei fondaci che sanno un po’ di chiuso e un po’ di vita bella, e lì tra un racconto e un pettegolezzo si fanno delle seratone stile Piper. Il marito (il porco) dopo un rapido giro di saluti e convenevoli licenzia tutti e vai via dicendo che è ora di cena “mia moglie ha cucinato, devo andare, ci si vede domani”, chiudendo la porta sente la voce di un altro suo amico che abita due portoni più giù, Orazio, contadino anche lui, tabagista, totalmente inappetente e appassionato di liquori.

Orazio nasconde a se stesso la chiave della cantina per non bere, ma la chiave è sempre lì al solito posto e lui lo sa. Si entra, si accende la luce con l’interruttore che Orazio giovane aveva appeso lì nel ‘54,  si prende il tubicino di plastica inserito nella damigiana di vino e si tira su forte forte per aspirarne un sorso. Una volta, due volte, tre volte.

“Orazio il vino sa di aceto, il prossimo anno te lo dico io come lo devi fare, anzi passiamo da Ubaldo che lui i bisolfiti li mette a occhio e gli viene un vino che è una poesia, proprio naturale.”

Con le scarpe ancora sporche di terra, fieri del proprio lavoro e della stanchezza che portano addosso, vanno a bussare alla cantina di Ubaldo che non si sa come, li stava già aspettando.

Ubaldo con il coltellino svizzero comprato a San Gabriele aveva già piazzato una decina di fette di pecorino, un salamino e la lonza (non la mia!). Non ci sono sedie, ma solo cassette messe al contrario per riposare un po’ il corpo da tutto quel lavoro. Si siedono, carucci carucci e iniziano a mangiare e bere come se il mondo fosse pronto a implodere e cancellare qualsiasi traccia delle rispettive mogli.  

Si fanno le undici di sera, che in campagna sono le 4 di mattina visto che alle 4 ci si sveglia. Antonio (il porco), Orazio e Ubaldo sono ancora lì, con una lampadina flebile, una coltre di fumo di MS, alcuni pezzetti di formaggio avanzati e una damigiana di vino da 30 litri. (anche questo sa di aceto).

Intanto la moglie di Antonio a casa ha mangiato anche la cena del marito, ha lavato anche il piatto che quel disgraziato non ha sporcato, gli ha ripiegato la  canotta beige lana dentro- cotone fuori che va bene d’estate, ma anche d’inverno, prende la scopa in mano con una rabbia nera e mentre fa per pulire quelle quattro briciole mi da un colpettino sul lato b, mi guarda negli occhi con tutto l’amore di una madre e teneramente mi sussurra: “Ah Circe, s’ha fatt nott e lu porc n’arvè!”

 

Questa è una storia vera scritta male perché come sapete, mi metto al pc solo per rilassarmi, quindi vi invito ad ascoltare la canzone N’arvè scritta da Gino Bucci  (L’Abruzzese fuori sede) e interpretata da anonimo abruzzese.

 

Musica, voce e testo vi renderanno ebbri di una gioia amara, quasi quanto il vino di Ubaldo.

Buon ascolto

La vostra Circe

https://www.youtube.com/watch?v=o4VwLs51Nvk

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